IPERSONICO : STORIA
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Gli odierni velivoli a lungo raggio presentano notevoli limiti, quali l'autonomia che non supera i 15000 km (questo rende impossibile raggiungere i luoghi più lontani se non in due tratte successive), e la velocità degli stessi che essendo subsonica, richiederà più o meno 12 ore per percorrere solo una delle due tratte per raggiungere i luoghi agli antipodi. Per ovviare a queste problematiche, già negli anni '60 vennero realizzati aeroplani da trasporto con velocità che superavano la velocità del suono, si parla dei cosiddetti SST (SuperSonic Transports). Due realizzazioni di questi studi sono il franco-inglese Concorde e il russo Tu 144. Solo il primo di questi riuscì, anche se per pochi anni, ad entrare in regolare servizio di linea. Il vantaggio della sua velocità venne vanificato dall'insorgere, ben presto, di molti problemi quali l'autonomia, l'alto consumo energetico, la scarsa compatibilità ambientale e gli elevati costi.

Considerando invece velivoli che siano in grado di andare a velocità ipersoniche, quindi che superino almeno cinque volte la velocità del suono, questo ci permetterebbe di ridurrebbe notevolmente la durata delle tratte, permettendo quindi di raggiungere gli antipodi in pochissime ore. Ma facciamo un passo indietro, cercando di risalire ai primi studi sul volo ipersonico. L’idea del volo ipersonico all’interno dell’atmosfera motivò diverse generazioni di scienziati e ingegneri. Il vero precursore del volo suborbitale è quello sviluppato negli anni ‘30 e ‘40 del secolo scorso, in Germania, da Eugen Sanger. L'idea fu quella di un velivolo da bombardamento transcontinentale con una missione caratterizzata da velocità e quote da renderlo non intercettabile e ovviamente di essere in grado di coprire la distanza di volo richiesta per compiere la missione bellica voluta. Il velivolo doveva essere propulso da un grosso motore a razzo in quanto unico capace di funzionare a velocità altissime e quote elevate; si pensi che il motore a turbogetto, era ancora estremamente limitato come valori di spinta e di velocità di volo. Non essendo pensabile un funzionamento, per tutta la missione, del motore a razzo, Sanger ipotizzò un profilo di volo con una fase iniziale, propulsa, che avrebbe portato il velivolo ad una quota altissima e ad una velocità non molto inferiore a quella orbitale, cui sarebbe seguita una lunghissima discesa, prolungata da numerosi “rimbalzi” del velivolo grazie alla portanza rapidamente crescente al calare della quota e quindi all’aumentare della densità dell'aria; in pratica Sanger aveva ipotizzato, per la prima volta, un volo suborbitale. Al fine di massimizzare quota e velocità raggiungibili prima di iniziare la discesa, aveva pensato ad un sistema di decollo del Silbervogel a motore spenti (quindi senza consumare prezioso propellente) raggiungendo già una certa quota e velocità supersonica prima di accendere il proprio motore; questo sistema era costituito da una slitta propulsa a razzo agente su una “monorotaia” lunga 3 km e la corsa di accelerazione sulla monorotaia effettuata tramite spinta a razzo. Si può dire che l'opera di Sanger sia stata precorritrice, aprendo veramente la strada al concetto dei velivoli suborbitali ed anche ai moderni Aerospazioplani orbitali o lanciatori.

PROGETTI DALLA II GUERRA MONDIALE ALLA FINE DEGLI ANNI ‘50

Durante la II Guerra Mondiale, sempre in Germania, un altro progetto per colpire la costa orientale degli Stati Uniti fu il Sistema A9/A10, studiato dal Gruppo di Von Braun. Tale sistema era praticamente un bi-stadio non riutilizzabile quindi anche nell’A9/A10 entravano concetti affini a quelli visti per il Silbervogel o, in generale, per i velivoli suborbitali. Si può quindi pensare che le due famiglie di veicoli spaziali siano nate, nella prima metà degli anni ‘40, nello stesso contesto e per gli stessi scopi. Dopo la II guerra mondiale, pare che lo stesso Stalin fosse rimasto estremamente colpito da documentazione reperita sul Silbervogel e avesse così lanciato il programma di sviluppo del cosiddetto “Soviet Antipodal Bomber”. Mentre le architetture generali dei due velivoli siano estremamente simili, i Russi introdussero una sola ma importantissima novità, ovvero la previsione di due motori di tipo Ramjet. Detti motori non possono che aver avuto lo scopo di “sostenere la crociera”, verosimilmente perché probabilmente si erano ridotti e di molto i valori di massima velocità e massima quota da raggiungersi con la salita iniziale.

E' probabile che questa scelta sia stata dettata dal desiderio di mitigare il riscaldamento dovuto al rientro negli strati bassi dell'atmosfera, nonché per tener conto che, come visto, le previsioni sulle prestazioni dei motori del Silverbogel erano troppo ottimistiche. Per questi motivi il Soviet Antipodal Bomber può essere sia visto come un perfezionamento del Silverbogel sia, in particolare per la previsione di motori “airbreathing” per sostenere la crociera, come il capostipite dei velivoli con volo a profilo stratosferico. Malgrado l'indubbio interesse, era forse troppo avanzato per i suoi tempi ed infatti, non si andò oltre la fase di studio. Il concetto di "Bombardiere Antipodale”, basato su un profilo di volo suborbitale, fu ripreso, nel dopo guerra, anche negli USA. Dopo numerosi progetti elaborati per circa un decennio, tra il 1957 e il 1963 fu attivo il Programma Dyna Soar, sponsorizzato dall'USAF, quindi con obiettivi marcatamente militari, anche se con la collaborazione della NASA. L’ampliamento di obiettivi del Dyna Soar consisteva principalmente nella capacità di entrare in LEO, Orbita bassa terrestre. Nel 1963, purtroppo, il Programma Dyna Soar venne cancellato, ma la ricerca sul rientro con sostentazione aerodinamica (e conseguentemente con un atterraggio orizzontale, su pista) fu continuata.

PROGETTI DEGLI ANNI ‘60 : IL CONCETTO DI “LIFTING BODY”

Per sperimentare il rientro con sostentazione aerodinamica, vista la difficoltà dell'ala a sopportare il carico termico connesso, si puntò molto, negli anni '60, sul concetto di “lifting body”, prevedendo cioè per il velivolo una fusoliera a ventre piatto (in supersonico, per un velivolo in discesa con un certo angolo d’attacco, gran parte della portanza deriva dalla sovrapressione che si crea sul ventre stesso), con le semiali ridotte al minimo e, sovente con angolo diedro positivo; in questo modo, a parte svolgere la funzione di impennaggio verticale, si evita all'ala di avere zone ad alta pressione e ad alta temperatura (a parte il bordo d'attacco). A questo proposito non si può non rimarcare l'applicazione di un'altra idea elaborata (senza l'ausilio della sperimentazione) da Eugen Sanger più di vent’anni prima e cioè la fusoliera a ventre piatto, molto più grande dell'ala, che era stata prevista per il Silbervogel. Il concetto di “lifting body” fu l'argomento di una serie di programmi di ricerca accompagnati dalla realizzazione e dalla sperimentazione in volo di diversi velivoli “dimostratori di tecnologia”. Il primo di essi fu l'X-23, realizzato dalla Martin Marietta; si trattava di un veicolo “unmanned” di piccole dimensioni. L'X-23 veniva lanciato, ad altezza e velocità orbitali da un NRL tipo ATLAS o TITAN. Differenti esemplari dell'X-23 furono configurati in diversa modalità, o particolarmente equipaggiati per la raccolta dati o più mirati alla verifica della capacità di controllare la rotta e di manovrare. L'X-23 fu anche di notevole aiuto nello sviluppo di materiali atti a sopportare gli alti carichi termici del rientro. Il programma di volo si svolse tra il 1966 e il 1967. Il successivo velivolo “Lifting Body”, l'X-24, fu realizzato ancora dalla Martin Marietta; ma le differenze sono diverse e significative, intanto dimensioni e pesi sono decisamente maggiori, le prestazioni completamente diverse, ma soprattutto sono previsti un pilota, un motore a razzo e un carrello d'atterraggio retrattile.

Tali differenze nascono dalle finalità dell’X-24 che erano quelle di testare la fase terminale del volo di rientro e l'atterraggio. L'X-24 A volò dal 1969 al 1971, portato in quota da un bombardiere B-52; dopo il rilascio, l'eventuale uso del motore a razzo poteva anche permettere di testare il comportamento in campo transonico. Alla fine della sua attività sperimentale l'X-24 A fu trasformato in X-24 B, grazie all'applicazione di un rivestimento (sovrapposto a quello del velivolo originale) al fine di ottenere (rispetto a quella dell'X-24 A) una forma molto più affusolata, e quindi tipica del volo ad altissima velocità.

GLI ULTIMI ANNI DEL XX SECOLO : PROGETTI DI AEROSPAZIOPLANI

Verso gli ultimi anni del XX secolo venne progettato un aerospazioplano tra i più avanzati, l'X-30. ll nuovo concetto di velivolo nacque da due esigenze diverse ossia quelle di ottenere un lanciatore riutilizzabile migliore dello Shuttle, essendone un possibile successore; un trasporto a grande velocità capace di collegare due punti qualsiasi sulla superficie terrestre, in tempi dell'ordine delle due ore. Entrambe le prospettive fecero improntare il progetto su una configurazione SSTO (Single Stage To Orbit) e sulla scelta di utilizzare propulsione “airbreathing” per tutta o per gran parte della gamma di possibili numeri di Mach, quindi da 0 a 25-26, essendo richiesta al velivolo la capacità di entrare in orbita, in funzione di lanciatore (e/o collegamenti con Stazioni Orbitali). La seconda di queste scelte comportava chiaramente l'utilizzo di motori SCRAM-jet il che costituì sia la particolarità distintiva del progetto che, riflettendo al fatto che ancora oggi la Tecnologia SCRAM-Jet è da considerarsi non matura, la sua maggior criticità che comportò il non proseguimento dello sviluppo. Il NASP X 30 assume un particolare interesse in quanto esso, ferma restando la possibilità di fungere da Lanciatore completamente riutilizzabile, fu subito visto come apripista del trasporto ipersonico a lungo raggio (praticamente infinito grazie alla possibilità di tratti di percorso in orbita). Purtroppo le speranze suscitate non ebbero seguito e il Programma fu chiuso nel 1993; la causa principale si pensa sia stato l'aver puntato moltissimo sulla Tecnologia SCRAM-Jet, tutt'altro che matura. Per questo l'USAF, successivamente, sviluppò e testò in volo un piccolo veicolo dimostratore, l'X-43, non pilotato e non recuperabile, dedicato allo studio dello SCRAM-Jet. L'X-43 era portato in volo da un bombardiere B-52 e, dopo lo sgancio, un razzo “booster” lo portava alla velocità di funzionamento del motore. L'X-43 era, praticamente, una riproduzione, in scala ridotta, dell'X-30. I risultati ottenuti, considerati un successo, in due voli su tre (uno fu, invece, un insuccesso) consistettero nel funzionamento dello SCRAM-jet per circa 10 sec, nei primi anni del XXI secolo. Quasi contemporaneamente, diversi altri progetti di Aerospazioplani furono messi allo studio.

PROGETTO "HOTOL"

L' HOTOL (dalla sigla per Horizontal Take Off and Landing) fu un progetto di Aerospazioplano SSTO sviluppato in UK a partire dagli anni '80 del secolo scorso; l'origine del progetto fu lo sviluppo di un motore di particolare interesse per Aerospazioplani, in quanto in grado di funzionare in tutto l'arco di numeri di Mach di interesse da 0 a 25-26. Il motore innovativo fu ideato dall'ingegnere inglese Alan Bond. L'idea fu quella di utilizzare l'idrogeno liquido per raffreddare l'aria in ingresso (basandosi sull'idea di migliorare il motore LACE, che non verrà spiegato in questo trattato), ma senza condensarla; dopodiché tramite un compressore essa viene portata comunque a pressioni assai alte (grazie al preraffreddamento), andando quindi in camera di combustione insieme a circa 1/3 del flusso di idrogeno liquido, mentre i restanti 2/3 vengono espansi in turbina per azionare il compressore; questa grossa parte di idrogeno utilizzata solo per azionare il compressore e non in camera di combustione comporta, in modalità Airbreathing un impulso specifico mediocre, ma resta la riduzione di peso data la bassa temperatura dell'aria, nonché un’ottima integrazione tra modalità Airbreathing e modalità endoreattore.

Grazie al compressore si ha un motore in grado di funzionare anche a velocità nulla. La bontà dell'idea spinse la RollsRoyce ad acquistare da Bond i diritti del motore, tuttora coperto da segreto militare, motore che divenne il Rolls Royce RB 545. Le qualità del motore spinsero nel 1982 la British Aerospace a formare con Rolls Royce, un team per lo sviluppo di un SSTO equipaggiato con lo RB 545, ottenendo l’appoggio del Governo Inglese. Il risultato del lavoro di progetto fu appunto il velivolo conosciuto come HOTOL. Tale progetto, almeno sulla carta si presentava come competitivo col contemporaneo X-30; a parte la grossa differenza tra l'essere pilotato (l'X- 30) e l'essere “unmanned” (l'HOTOL), quest'ultimo si presentava con più alto peso al decollo causa il previsto funzionamento come endoreattore da Mach 6 in su, ma con una configurazione molto più semplice. Ben presto però ci si rese conto del vero grosso problema (se non si vuol dire errore concettuale) dell'HOTOL: aver previsto il posizionamento dei motori in coda. Questo infatti portava ad un baricentro assai arretrato, il che spiega anche la posizione molto arretrata dell'ala. Questo fatto innescò una serie di modifiche al velivolo, con effetti peggiorativi più che miglioramenti.

SANGER II

Contemporaneamente allo statunitense NASP X-30 e all'inglese HOTOL, anche la Germania Occidentale avviò, verso la metà degli anni '80, un suo progetto di aerospazioplano dal nome “Sanger II”. I Tecnici Tedeschi optarono per una soluzione bistadio. Il sistema Sanger II si presenta certamente innovativo e competitivo, come mezzo di accesso all'Orbita Bassa Terrestre – LEO. Purtroppo però, anche per il Sanger II, difficoltà finanziarie portarono alla chiusura del Programma. I tre progetti sino ad ora esaminati, NASP X-30, HOTOL e Sanger II, nel periodo che va dai primi anni '80 alla metà degli anni '90, periodo che vide fiorire l'esigenza e la prospettiva degli aerospazioplani, furono probabilmente i progetti più approfonditi, nel senso che ebbero più che concrete possibilità di essere effettivamente realizzati. Ovviamente non furono i soli, in quanto anche altre Nazioni esplorarono il nuovo concetto di velivolo; è ad esempio il caso della Francia con i due progetti, genericamente noti come STS 2000. Questi studi non oltrepassarono la fase di “Progetto Concettuale”.

PROGETTI NEGLI ANNI 2000

I progetti di Aerospazioplani, fioriti negli ultimi due decenni del XX secolo, per una serie di motivazioni tra cui, forse, quella di essere troppo in anticipo sui tempi e, molto di più, per le difficoltà economiche degli anni attorno al ‘95, ebbero tutti la triste sorte di restare solo sulla carta. L’attività di ricerca sugli Aerospazioplani è comunque continuata, sia a un livello più teorico che su un versante più applicativo. In particolare si ricordano realizzazioni nei campi del Turismo Spaziale, (anche se solo in pochissimi casi si è giunti a realizzazioni pratiche) e lo sviluppo di Dimostratori Tecnologici, più volti ad aspetti connessi al volo per l’orbita e relativo rientro. I dimostratori tecnologici per definizione non sono velivoli operativi, ma permettono di studiare (e di dimostrare la bontà di soluzioni) per particolari tecnologie del velivolo operativo futuro e/o per parte della sua missione. E’ ovvio che i dimostratori svolgono una funzione utilissima dal punto di vista di far guadagnare esperienza e acquisire tecnologie, inoltre, essendo certamente meno costosi (sovente anche grazie a ridotte dimensioni) dei velivoli operativi, essi possono essere realizzati anche in periodi (come è certamente l’attuale) caratterizzati da scarsità di fondi, con l’utile effetto di mantenere le capacità realizzative, facilmente a rischio di andar perse in caso di lunga inattività. Nell’ambito del Turismo Spaziale, ci si rese conto di poter offrire la possibilità di vivere l’esperienza dell’Astronauta. La “missione spaziale” fu individuata in un volo suborbitale, senza necessità di entrare in orbita, anzi con velocità massime dell’ordine di pochi numeri di Mach; al culmine della traiettoria si sperimenta una sorta di microgravità (anche se limitata a pochissimi minuti) e, esternamente al velivolo, ad altezze superiori ai 50 km, si può già osservare la curvatura terrestre e, essendo sopra gli strati densi dell’atmosfera, si ha la tipica visione del “cielo nero”, tutti aspetti tipici dei viaggi spaziali. Con una prospettiva di profitto, si apriva conseguentemente la strada a sviluppare piccoli velivoli adatti a compiere missioni del tipo descritto, con almeno due o tre passeggeri, oltre al Pilota.